Fredda notte di Gennaio, casa Ciavatta.
Antonio:”Vai al cinema, stasera, perché non pagate niente…”
Francesco:”Ah, papà, hai ragione: telefono agli amici e andiamo al cinema!”
Questa è la ricostruzione, fornita dalla signora Angiolina Mariano, di uno degli ultimi dialoghi tra il marito e il figlio, intercorso il 7 Gennaio 1978, poco prima della “Strage di Acca Larentia”, di cui Francesco fu vittima (e l’intera famiglia con lui).
La famiglia da cui proviene è composta da umili lavoratori, emigrati da un paesino del Molise, fino alla Città Eterna, presso la quale svolgono la funzione di portieri, stimati dai condomini del proprio palazzo, che li trattano come persone di famiglia.
Quel 7 di Gennaio, tuttavia, si può respirare un’aria tesa, con gli inquilini dei piani superiori, che, periodicamente, discendono alla guardiola, chiedendo alla signora Angiolina, quale sia il nome effettivo del figlio: Francesco o il più intimo Franco.
La madre, ignara delle notizie, ormai largamente diffuse, risponde a questa domanda, pur non comprendendo il senso di un tale interesse.
Appreso, dunque, del ferimento del figlio, ricoverato presso l’ospedale San Giovanni, si prepara ad accorrervi, quando, incontrato il marito, di ritorno proprio dal nosocomio, scopre della tragica fine del giovane.
Interrogati, successivamente, gli amici (e colleghi di sezione) del figlio, sul motivo per il quale avessero desistito all’intenzione di recarsi al cinema e, anzi, si fossero recati nella sezione di Acca Larentia, per ciclostilare volantini, riguardanti il concerto di un gruppo di musica alternativo, gli “Amici del Vento”, vengono a sapere che, dato il clima rigido, avevano stabilito di recarsi ivi, per ascoltare musica, tramite il giradischi.
Tuttavia, per come raccontato dai sopravvissuti, verso le sette, decidono di chiudere la sezione e recarsi a Prati, per uno dei tanti volantinaggi, compiuti in quegli anni, quando, usciti Franco Bigonzetti e Francesco, i cinque sono accolti da scariche di mitraglietta, che stendono Franco e inducono Francesco alla fuga, che si concluderà pochi metri più in là, colpito alle spalle dagli assaltatori. Gli altri tre ragazzi, Giuseppe D’Audino, Maurizio Lupini e Vincenzo Segneri (pur colpito ad un braccio) riescono a salvarsi, rientrando nella sede buia.
Ma, riusciti dalla stessa, lo spettacolo che si palesa loro davanti è terribile: Franco disteso in una pozza di sangue, ormai esanime, e Francesco, ancora vivo, poco più in là.
Francesco, ragazzo educato e sensibile, generoso nel racconto dei suoi compagni di viaggio, mal si amalgama con l’identikit rancorosa dei comunisti, che, per difendersi da un’azione non tollerata neanche da molti loro sodali, sono costretti a elaborare la figura di un picchiatore e spacciatore di quartiere, “giustamente” giustiziato dal tribunale popolare.
Nel racconto dell’On. Maurizio Gasparri, all’epoca Dirigente del Fronte della Gioventù, rilasciato al giornalista Luca Telese, nel libro “Cuori Neri”, il Bigonzetti è un ragazzo solare, simpatico e disposto a tutto, pur di rendere orgogliosi i ragazzi del suo circolo di Acca Larentia, perfino nascondere, sotto la giacca, risme di carta per il Ciclostile, trafugate dalla sede principale in via di Sommacampagna.
Un altro esempio di quel suo modo di essere (sempre tratto da “Cuori Neri”) risiede nelle sue parole, quando, già ferito mortalmente, incita i ragazzi accorsi ad occuparsi del Bigonzetti, che reputa ferito più gravemente, ma che non sa sia già deceduto.
Conclusasi la prima parte di questo dramma familiare, possiamo concentrarci sulla seconda, riguardante il signor Antonio Ciavatta: profondamente addolorato da quanto avvenuto (e, probabilmente, sentendosi in parte anche colpevole, per aver voluto spingere il figlio ad uscire), non sarà più lo stesso e per ben tre volte, nell’arco di un anno e a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, tenterà la strada del suicidio, nei più svariati modi, infine riuscendoci.
Nei successivi mesi concitati, si può assistere alla disgregazione di questa famiglia, come di molte altre, che, tra gli anni ’70 e ’80, a Destra e a Sinistra, hanno visto cadere i loro fanciulli, “de l’inutil vita, estremo unico fior”, per dirla con Carducci.
Generalmente, avendo modo di leggere diverse testimonianze dei familiari di queste vittime, le madri sono coloro che maggiormente riescono, pur nel profondo e innaturale dolore provato, a portare avanti la famiglia, come dimostra anche il caso dei Ciavatta, con un marito che, come testimoniato da un’intervista, condotta quarant’anni dopo, su Telemolise, alla signora Angiolina, dopo la dipartita di Francesco, ha, più volte, lodato la capacità della consorte di resistere alla disperazione esistenziale, dimostrato anche dal rifiuto di quella, dinanzi alla proposta del coniuge di compiere l’estremo gesto insieme.
La coraggiosa donna, che, solo sei anni fa, dopo decenni di silenzio assoluto, ha deciso di parlare all’emittente su menzionata, si è spenta nel suo paese natale di Montagano, lo scorso 30 Ottobre, avendo avuto modo di assistere alla vittoria del Centro-Destra, guidato dagli ex-Frontini di Fratelli d’Italia, pur non riuscendo ad ottenere la vittoria giuridica, con l’individuazione e la condanna degli assassini del figlio.
Sembra la chiusura di un cerchio (politico, non certo giudiziario): “…Questa notte, di guardia ci sei tu, là nel tuo paese che non conosco, là sarai di guardia anche per me”!
Marco Bilotti