<<Dormi sepolto in un campo di grano…>> verseggiava Fabrizio De Andrè nella celebre La guerra di Piero. Una poesia imperitura che pare essere stata scritta appositamente per questi mesi di dolore e di strazio. Una poesia che accompagna la nostra mente agli orrori dell’Ucraina.
Nel campo di grano più grande d’ Europa, dallo scorso 24 febbraio, le lancette della storia sono state riportate indietro d’un secolo e il sangue innocente, implorando pietà, continua a scorrere a fiotti. Nella nostra memoria si affastella una quantità indicibile di immagini barbare, immagini di morte e di orrore che credevamo oramai confinate in reconditi cassetti della storia. Chi avrebbe mai immaginato che in Europa, dopo 70 anni, bambini di pochi mesi, bambini di pochi anni sarebbero stati uccisi con tanta violenza? Nell’ anniversario della Liberazione dalla dittatura nazifascista, lungi dal compiere arditi parallelismi storici, non possiamo non pensare al grido di dolore degli ucraini. Non possiamo non pensare, nonostante i contesti differenti, alle analogie di fondo. Un esercito di oppressori che calpesta la Patria degli oppressi ed oppressi che, in qualunque modo e con ogni mezzo, difendono il suolo patrio.
Cosa ci comunica, dunque, il 25 aprile? Cosa ci trasmette questa Festa su cui, come scriveva la Fallaci, i comunisti per troppo tempo si son <<procurati l’esclusiva>>? La Resistenza per anni falsamente e biecamente strumentalizzata ci rammenta che la pace e la libertà, che tanto diamo per scontate, possono vacillare e vacillano sotto i colpi dei mortai. La Resistenza ci ricorda che la libertà, con le armi e con il sangue conquistata 70 anni fa, oggi può cedere il passo alla tirannia se non strenuamente difesa. Noi italiani, noi occidentali abbiamo creduto in questi decenni che la pace, la libertà, il processo d’integrazione tra popoli fossero realtà consolidate ma la guerra in Ucraina, una guerra che lambisce le nostre esistenze ci fa comprendere la necessità di riaffermare il carico dei valori, il coraggio che animarono gli uomini della Resistenza. Non capisco, pertanto, perché proprio chi dovrebbe vegliare sull’eroismo dei partigiani stia tentennando circa l’invio di armi in Ucraina. Non capisco per i benpensanti in che maniera dovremmo dimostrare vicinanza e solidarietà nei confronti di chi è stato oltraggiosamente e vigliaccamente attaccato. Cosa dovremmo fare se non aiutare con armi chi difende sé stesso, la propria casa, la propria terra? Non era ciò che facevano anche i partigiani? Da più parti si evocano trattative di pace ma in che modo si può trattare la pace con uno spietato pokerista che bluffa di continuo? Non siamo ingenui. Putin intende ridurre l’Ucraina a provincia della Russia. I suoi son tutti pretesti e non aspetterà altra occasione per alzare la posta in gioco. Tutti ci auguriamo la pace ma se lo Zar non fa fede alle proprie promesse, ahimè, risulta sempre più remota la possibilità di un dialogo.
Non vorrei esser additato come militarista, come guerrafondaio ma cosa dovremmo fare con gli ucraini? Dovremmo, forse, in nome del pacifismo, toglier loro persino la possibilità di difendersi? Non sono proprio i comunisti (oggi restii all’ invio di armi in Ucraina) che, in nome del dio pacifismo, ci hanno insegnato che un più non debole non deve sottostare ai soprusi del più forte? Si badi bene ché il confine tra pacifismo e indifferenza è assai labile. Il passo tra il battersi per la pace e lo stare a guardare imbelli è assai breve.
L’augurio, dunque, per la giornata di oggi è che si eviti quella vomitevole retorica sulla Resistenza da parte di chi intende sostenere il popolo ucraino solo con le chiacchiere. In questo momento storico le parole a poco servono. Resistere, resistere, resistere. Con le armi e non con i fiori. In nome della pace e della Libertà.
di Francesco Di Palma