Intervista a Diego Fusaro: il destino di Mosca e il tramonto dell’Occidente

Intervista a Diego Fusaro: il destino di Mosca e il tramonto dell’Occidente

La pubblicazione di questa intervista era prevista all’interno dell’inserto “Giovani” della rivista “Il Borghese” del numero di aprile, in una serie di articoli e pareri sulla questione ucraina. Per problemi tecnici non è stato possibile. 

Diego Fusaro, filosofo e saggista, è tra i pensatori più interessanti del panorama identitario anche e soprattutto per via della moltitudine di autori che alimentano la sua visione del mondo e delle cose. Egli è stato discepolo di Costanzo Preve, emblematica figura della post-politica, che lo stesso Fusaro definisce come il marxista più esiliato d’Italia e la cui lezione filosofica ha decisamente seminato dei frutti. Si definisce un allievo indipendente di Marx ed Hegel con una predilezione verso Gramsci, Gentile, Heidegger e avendo lo sguardo sempre rivolto verso gli antichi greci, in particolar modo Platone, la cui sapienza è fonte di elevazione per lo spirito. Sin dagli esordi Fusaro si è dimostrato un diretto antagonista del pensiero neo-liberista occidentale e filo USA , tra saggi, articoli giornalistici (Cultura identità, il Primato Nazionale) e dibattiti televisivi che gli hanno donato la cattiva fama di un vero e proprio imperdonabile, citando l’opera di Marcello Veneziani. Alla luce di ciò che sta accadendo sul fronte ucraino, abbiamo dialogato col filosofo dello stato delle cose da parte dell’Occidente, di Aleksandr Dugin, russofobia e Dostoevskij.

Cosa ne pensa della questione ucraina e quale crede sia il ruolo che debba avere l’Europa nella scacchiera internazionale?

Premetto che di ciò che sta accadendo in Ucraina si potrebbe fare un seminario di sei anni, ma in sintesi, io ritengo che ci troviamo al cospetto di tutte le contraddizioni non risolte dal crollo del muro di Berlino. Condannare l’invasione da parte dei russi nel territorio ucraino è un gesto facile, scontato e tutti siam capaci a farlo ma bisogna anche capire come ci si è arrivati a questa vicenda. Studiando quindi le cause del conflitto, ecco che si scopre l’espansione crescente imperialistica negli anni da parte della Nato, si scopre che non sono stati rispettati gli accordi di non ingerenza, insomma viene fuori che l’Occidente ha le sue responsabilità di certo non trascurabili in questa situazione. Riguardo all’Europa, credo che debba rimanere neutrale ed evitare assolutamente di intraprendere la guerra ma sappiamo che in realtà è una colonia di Washington e quindi non lo farà e tutt’ora lo sta dimostrando.

Spostandoci sul versante italico, lei non pensa che in questo momento sia nella nostra cultura che nel dibattito politico nazionale si sta assistendo ad un processo di restaurazione di quello che era il mondo globale del passato? Siamo dinanzi ad una controriforma del grande capitale?

Si, certamente. Il capitale si sta riorganizzando già da due anni in una chiave molto autoritaria  e repressiva  e infatti adesso il clima di guerra, oltre quello della pandemia, sta potenziando questa tensione all’interno dei suoi confini e in più si prepara ad essere sempre più radicale anche sul piano bellico a mio giudizio. 

Alla luce di questa restaurazione, possiamo dunque dichiarare morta e sepolta la presunta rivoluzione sovranista che pochi anni fa esprimeva un largo consenso?

Non so se si possa dichiarare morta. Sicuramente mi pare di poter affermare che non se ne parlerà per molto tempo ancora, tra l’altro alcuni di coloro che si ritenevano sovranisti nei quali personalmente non ho mai avuto molta fiducia, penso al centro-destra essenzialmente, si sono poi rivelati supini alla Nato e lo stiamo sperimentando anche adesso. Idem la sinistra.

Riguardo Aleksandr Dugin, figura chiave per la rivoluzione populista/sovranista contro l’Occidente globalizzato oltre che politologo di grande fama per la sua vicinanza a Vladimir Putin, pare stia diventando il bersaglio del fronte occidentale come una sorta di diavolo in cerca di distruzione. Lei che ha avuto modo di conoscere in maniera approfondita sia la persona che il suo pensiero cosa può dire a riguardo?

Dugin è un filosofo anzitutto e in chiave filosofica va trattato, quindi bisogna discuterne secondo le sue idee filosofiche. Egli è un pensatore di grande interesse che andrebbe innanzitutto letto, e bene anche, prima di demonizzarlo ed infatti stiamo assistendo a questa voluta ostracizzazione nei suoi confronti. Io ho grande stima per il suo pensiero anche se non ne condivido alcune impostazioni ma comunque, ad ogni modo, ritengo che sia un pensatore che dice cose interessanti e in parte anche condivisibili.

Aleksander Dugin, politologo e filosofo vicino a Putin.

Passando invece al politicamente corretto, lei pensa che in questo momento stia svolgendo una fusione di collante sociale di un Occidente allo sbaraglio e profondamente diviso dalle disuguaglianze sociali e dalle tensioni sanitarie?

Certamente si. Abbiamo scoperto col tempo che il politicamente corretto è anche un geo-politicamente corretto e per cui tutto ciò che è americano va incondizionatamente bene e tutto ciò che è russo va incondizionatamente male. Perfino Dostoevskij  abbiamo scoperto che non va bene e che anzi è in odore di essere uno che se la intende con Putin, insomma siamo arrivati a quel declino perfettamente descritto da Oswald Spengler ne “Il tramonto dell’Occidente”.

“Il tramonto dell’occidente”, Oswald Spengler.

 

In conclusione, secondo lei in che punto della storia ci troviamo? Siamo gli “uomini tra le rovine” di Evola?

Credo che ormai siamo sotto le rovine, anche se vi è ancora qualcuno che resiste ed è in questi che bisogna aver fiducia ma in larga parte non vi sono grandi spiragli.

Intervista a cura di Francesco Subiaco e Francesco Latilla

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