La crisi demografica: un cappio intorno al collo dell’Italia
Il dato sulle nascite italiane degli ultimi 15 anni, fornito dall’ISTAT, ci presenta una situazione del Belpaese allarmante: dal 2008, anno in cui vi è stato il picco della natalità, le nascite sono diminuite di un terzo; infatti, nel 2022 abbiamo registrato il numero più basso (393 mila) dall’unità d’Italia. Le previsioni dell’istituto nazionale di statistica stimano che “da una popolazione di 59,2 milioni passeremo a 57,9 milioni nel 2030 e a 54,2 nel 2050″.
Inoltre, ad aggravare la condizione già precaria delle natalità in Italia, si aggiunge il dato di una progressiva perdita di popolazione in età lavorativa e si prospetta che nei prossimi 30 anni avverrà una sua diminuzione del 10% e un contemporaneo aumento del 12% di quella anziana. Ciò, spingerebbe lo stato italiano in un processo di non ritorno. La popolazione lavorativamente attiva faticherebbe a ricoprire solo con i propri contributi le prestazioni pensionistiche di vecchiaia, di invalidità e dei superstiti. Ulteriormente, sotto l’aspetto economico, il PIL italiano subirebbe un calo in quanto la diminuzione dei lavoratori porterebbe ad una riduzione del lavoro. Quest’ultimo, essendo un fattore produttivo calcolato nel PIL, porterebbe la produzione dello stato a calare, influenzando conseguentemente anche la sostenibilità del debito pubblico italiano.
Dunque, considerata la severità della situazione e la miope politica attuata dai precedenti governi, si palesa la necessità di manovre politiche mirate che agiscano sul lungo temine per contrastare il fenomeno.
Tra le maggiori cause del basso livello di natalità vi è il preoccupante dato del tasso occupazionale femminile: in Italia meno del 50% delle donne è inserito in un contesto lavorativo e questo comporta una maggiore difficoltà economica da parte delle famiglie per la crescita di più di un figlio; quindi, incentivare quest’ultima diventa di vitale importanza. La crescita occupazionale può essere raggiunta attraverso politiche sociali e tramite una maggiore flessibilità del nostro mercato del lavoro.
Su questo versante, il governo Meloni sta cercando di trovare soluzioni. Infatti, nella riforma IRPEF 24, l’esecutivo, ha inserito un esonero contributivo per le assunzioni di donne con figli. Ma non solo, sono state inserite anche agevolazioni per le assunzioni di lavoratrici che rientrano nella categoria di “donne svantaggiate” ed è stato aggiornato il congedo parentale, che ora prevede l’aggiunta di un mese indennizzato all’80%.
Tutto ciò, però, anche se un primo passo, non è abbastanza. Le statistiche ci rendono noto che in Italia solo un bambino su quattro va al nido e ciò è dovuto alla mancanza di posti o per costi ancora troppo elevati per le famiglie. Questa situazione porta molte donne a lavorare per pagare una baby-sitter o il nido stesso e purtroppo c’è anche chi sceglie di lasciare il proprio lavoro poiché inconciliabile con l’accudimento dei figli.
Pertanto, le nuove politiche sociali inserite dall’esecutivo Meloni necessitano dell’integrazione di maggiori investimenti sulle infrastrutture per l’infanzia, così da abbassare i costi e rendere più agevole la costruzione di una famiglia con più figli.
di Emanuele Tomeo