Sono passati 49 anni esatti dal Rogo di Primavalle, un giorno drammatico della storia italiana in cui morirono Virgilio e Stefano Mattei (22 e 8 anni), figli di Mario Mattei, segretario locale del Movimento Sociale Italiano. Per comprendere la tragedia di quell’evento basta fare una piccola ricerca su Internet, di modo da ritrovare le foto della casa dopo l’infausta notte e vedere in primo piano il corpo carbonizzato di uno dei poveri fanciulli. Foto che devono essere impresse nella memoria collettiva, di modo da non lasciar preda del tempo il riprovevole crimine in nome di una lotta fra ideologie che troppe vite innocenti ha spezzato.
Erano gli anni di piombo, dove ogni giorno fiorivano nuovi gruppi politici extraparlamentari e dove, specialmente nelle grandi città, manifestazioni, feriti e persino i morti, erano all’ordine del giorno. Nella notte del 16 aprile 1973 un gruppo intimidatorio guidato da Achille Lollo versò cinque litri di benzina sotto l’ingresso dell’appartamento sito al terzo piano di Via Bernardo da Bibbiena 33. Mario Mattei, la moglie e quattro dei sei figli riuscirono a salvarsi ma per due di loro non vi fu scampo, finendo vittime di una morte che non si augurerebbe nemmeno al peggiore degli esseri umani.
Le ricostruzioni dei fatti furono molto complesse. Fu trovato a terra un foglio, poco fuori l’abitazione della famiglia Mattei, in cui c’era scritto: “Brigata Tanas guerra di classe. Morte ai fascisti, la sede del MSI colpita dalla giustizia proletaria”. Le indagini portarono subito a tre componenti del gruppo Potere Operaio: Achille Lollo, Marino Clava e Manlio Grillo. Tre settimane dopo il Pm di Roma Domenico Sica arrestò Achille Lollo, mentre gli altri due riuscirono a scappare. Solo due anni dopo, nel 1975, iniziò il processo.
Il clamore mediatico era imponente. Da una parte c’erano gruppi di giovani appartenenti al Movimento Sociale Italiano e alla sua costola universitaria, il Fuan. Lo sgomento per la morte dei fratelli Mattei era ancora vivo. Fu così che in molti si presentarono il giorno del processo a Piazzale Clodio. Il clima rovente portò a degli scontri e il triste esito fu la morte di uno studente greco iscritto al Fuan, Mikis Mantakas. Il giornalista Roberto Rosseti, per anni vice-direttore del Tg1 e giornalista affermato, ha collegato i due eventi nel libro “Da Primavalle a Ottaviano, uccisi due volte”(edito da Pagine nel 2019), ripercorrendo con una notevole analisi storica che cosa significava partecipare attivamente alla vita politica in quegli anni.
Dall’altra parte della barricata, la sinistra extra-parlamentare iniziò una forte campagna di controinformazione. In primis si era accertata dell’effettiva matrice con un’ indagine interna al “Potere Operaio”. A capo dell’operazione fu messo Valerio Morucci, che divenne tristemente noto alle cronache qualche anno dopo come uno degli organizzatori del delitto Moro. Successivamente fu portata avanti una vera e propria campagna di propaganda. Attraverso ricostruzioni totalmente inventate, si tentò di far ricadere il movente su dei dissidi interni alla sezione locale del MSI. Intellettuali e volti noti vicino a questi movimenti furono protagonisti di interventi di solidarietà agli imputati. Franca Rame, moglie di Dario Fò, scrisse un telegramma di vicinanza ad Achille Lollo, mentre egli si trovava in prigione. “Ho provato dolore ed umiliazione nel vedere gente che mente, senza rispetto nemmeno dei propri morti”, si legge nel numero del 2 marzo 1975 della rivista “Il Borghese” in un articolo che riporta le parole dell’attrice, ”dolore di saperti protagonista di quel dramma scritto da un pessimo autore”.
A raccontare questi momenti è un cittadino romano che, quel giorno, casualmente, passò davanti alla casa del rogo e che ci può fornire un’esperienza diretta su come fu straziante assistere a tale evento e sulle responsabilità dirette della sinistra.
“A quei tempi giocavo nelle giovanili della SS Lazio e mi stavo dirigendo verso il campo locale di Primavalle, dove si doveva tenere un torneo calcistico a cui dovevamo partecipare. Ero undicenne, e come logico che sia per un ragazzo di quell’età, non ero molto informato di politica. La mattina scesi dall’autobus e mentre camminavo verso il centro sportivo, vidi molta polizia e un gruppo di curiosi assembrati. Notai che alcuni di questi cittadini avevano delle bandiere rosse con falce e martello e che urlavano con tutta la voce slogan contro forze dell’ordine. Io, con la borsa della Lazio sulla spalla, venni aiutato dalla polizia ad oltrepassare la calca che si trovava davanti alla casa in cui era avvenuto il fatto. Ad un certo punto mi girai e vidi dalla finestra, annerata dall’incendio notturno, due ragazzi che non riuscivo bene a distinguere (solo dopo, a mente lucida, capii che erano carbonizzati). Erano due forme che mi ricordavano due pupazzi bruciati: uno più piccolo e uno più grande. Chiesi ad un poliziotto cosa fosse successo e lui mi disse che erano morte due persone a causa di un incendio. Sentendo le persone che strillavano ‘’a morte, a morte’’ gli chiesi il perché stessero comportandosi così e lui mi disse (col senno di poi direi quasi come un ammonimento paterno) di non interessarmi di queste faccende politiche. Rimasi colpito dal fatto che ci fossero due persone morte e che nel mentre molti stessero inneggiando al loro omicidio. Mi sembrò profondamente irrispettoso esultare per la morte di altri individui.
Questa cosa mi colpì talmente tanto che cominciai ad avvertire disprezzo verso la sinistra, verso i comunisti. Cominciai a leggere i quotidiani e notai come loro (i comunisti n.d.r.) si difendevano affermando che fosse stata una faida interna all’MSI, dato che il padre era il segretario della sezione missina.
Da quel momento ho iniziato ad informarmi di politica e notai che sui giornali si spacciava questa cosa come una guerra civile tra «fascisti». In particolar modo fece scalpore la posizione assunta da ‘Il Messaggero’, guidato all’epoca da Alessandro Perrone in cui si difesero, senza remore, i militanti di Potere Operaio (è importante notare come sua nipote Diana facesse parte del gruppo extraparlamentare n.d.r.), senza dimenticare le difese ad oltranza verso gli assassini assunte da Dario Fo, dalla moglie Franca Rame (memorabile, in senso negativo, la lettera che scrisse a Lollo), da Alberto Moravia e da molti parlamentari del Partito Comunista Italiano. Questi atteggiamenti giustificatori causarono una contro-protesta da parte della destra: i giovani, per rivolta, cominciarono ad organizzarsi in maniera massiccia andando in piazza e manifestando contro l’egemonia socio-culturale della sinistra. L’escalation fu raggiunta alla fine della quarta udienza del processo sulla tragedia di Primavalle dove militanti del Fronte della Gioventù manifestarono poiché si riteneva una farsa il processo che stava virando esclusivamente verso l’accusa di omicidio colposo. Andammo a fare il corteo ma arrivò la polizia che insieme ai compagni ci circondò. Ci ritirammo verso la sezione di Via Ottaviano, a venti metri da Piazza Risorgimento, piazza in cui si erano appostati gruppetti di sinistra da 10-20 persone per chiuderci ogni via di fuga. Il furgone della polizia davanti alla sezione venne assalito dai ragazzi di sinistra che volevano entrare nel palazzo della sezione. Quando cominciarono ad essere lanciati i lacrimogeni ci fu il fuggi fuggi e tutti ci ritirammo a Piazza Risorgimento dove uno di questi gruppi sparò nel mucchio e colpì Mikis Mantakas, giovane studente greco”.
La memoria collettiva cerca continuamente di tenere vivo il ricordo di queste due vite interrotesi, per mano brutale, troppo presto: nel 2003, trentennale della strage, su iniziativa del Presidente del XIX° municipio Mario Visconti, venne apposta una targa sull’area verde di Primavalle. La giunta Raggi nel 2019 ha ufficializzato la denominazione del parco a ‘Stefano e Virgilio Mattei: vittime della violenza politica’.
Nessuno ha mai pagato e nonostante i numerosi tentativi di riapertura del caso non si è mai arrivati ad una condanna che potesse quantomeno rendere giustizia alla memoria dei due giovani scomparsi. Il primo processo finì con l’assoluzione dei tre imputati con la formula “insufficienza di prove”. Lollo, Clava e Grillo furono assolti. Il primo andò inizialmente in Svezia per poi trasferisi in Brasile, gli altri due in Sudamerica. A causa di una irregolarità sopravvenuta nella giuria, il processo fu riaperto e i tre furono condannati definitivamente dalla Corte di Cassazione nel 1987, ma solo per omicidio colposo e non per strage come chiesto dal procuratore. Nel 2005 la Corte d’Appello di Roma decretò il reato prescritto.
A memoria anche del trattamento ingiusto che ebbero è bene citare qualche titolo di alcuni quotidiani dell’epoca, sintomo di come spesso, in base al credo politico, si possano fare morti di serie A e morti di serie B. Il Manifesto titolò: “Roma, assassinati due figli del segretario del Msi di Primavalle in un incendio doloso. E’ un delitto nazista. Fermato un fascista”. Lotta continua, invece, aprì: “La provocazione fascista oltre ogni limite, arriva al punto di uccidere i suoi figli. Un bambino è il costo di una criminale vendetta fascista”.
Per non dimenticare le vittime, chi ha ucciso e chi ha nascosto tutto.
Di Alessio Moroni e Leonardo Di Salvo