Dal 4 aprile è tornato sul canale Nove l’atteso “Cash or trash – Chi offre di più?”, programma televisivo condotto da Paolo Conticini, con una seconda stagione tutta da scoprire. Tra i protagonisti, i cosiddetti “mercanti” che dovranno valutare gli oggetti proposti, vi è nuovamente Giano Del Bufalo, giovane collezionista che del proprio amore verso le meraviglie del mistero, dell’oltre, ne ha forgiato la visione che lo contraddistingue dai presunti “esperti in materia” dal tono razionale e saccente. Al contrario di molti, Del Bufalo è un collezionista che ama visceralmente tutto ciò che attraverso l’arte, il tempo o la fantasia riesce a plasmare quel che di misterioso è presente nel mondo donandogli l’incoronazione dell’eterno. La sua Diorama Gallery, fondata insieme a Niccolò Mottinelli, è la splendida rappresentazione fisica di un quadro surrealista, una Wunderkammer ossia una “stanza delle meraviglie” dove i sogni si fondono con la storia e le culture di antichi popoli fornendo allo spettatore la percezione di essere in quell’altrove tanto caro ai filosofi e agli artisti degni del sacro termine. Del Bufalo, attraverso il suo studio meticoloso e articolato, riporta strane creature dall’aria mitologica e crani inerenti a tribù peruviane con lo sguardo generoso e puro di un bambino alle prese con i racconti di Jules Verne o Emilio Salgari e la stessa luce traspare dalla sua amata Diorama in cui una volta entrati si è al di fuori del tempo, oltre i confini del mondo.
Sei un collezionista dal tratto antico, con il gusto per la meraviglia e le arcane credenze del passato. Cosa rappresenta per te lo straordinario e in che modo ne sei sedotto?
In realtà non credo di avere una risposta a questo sinceramente, perché le mie passioni nascono per caso. Credo di aver avuto una vocazione ad un certo punto verso tutte le cose che tratto, colleziono, commercio e non saprei neanche spiegare bene o male come è nato tutto ciò. Sento di essere stato trasportato probabilmente da un’estetica che poi ho fatto mia e questa ho condotto il mio sguardo verso delle ricerche facendo venir fuori il mio amore per l’eccentrico, per le meraviglie del mondo e le bellezze naturali che lo compongono. Sicuramente, dato il mio amore per le altre culture, amo il mondo diversificato ed infatti sto soffrendo il contemporaneo dato che il capitalismo sta deviando questa antichissima diversità presente sul pianeta. Avvicinandomi alle culture capisco ancora di più l’importanza e la bellezza nell’essere uniti ma distanti per favorire i caratteri culturali di ogni popolo e di ogni Stato.
L’oggetto più strano contenuto nella tua collezione e come l’hai scovato?
In realtà sono immerso tra cose strane. Dobbiamo innanzitutto capire cosa intendiamo per strano. Sicuramente un oggetto peculiare che possiedo e che tra l’altro è uno dei miei pezzi preferiti è una testa ridotta di un popolo amazzone degli ichivaros, un popolo che viveva tra l’Equador e il Perù. Questi tagliavano le teste ad alcuni nemici importanti dei villaggi limitrofi e poi riuscivano, tramite un processo, a ridurle creando così degli amuleti con delle teste umane e in questo modo arricchivano il guerriero che li indossava. Si chiamano tsantsa e nonostante l’aspetto macabro sono molto affascinanti. La testa che possiedo la comprai da un vecchio museo svizzero dismesso e mi ha affascinato da subito. Tra l’altro, ci tengo a precisare che anche noi abbiamo posti del genere, l’Italia è piena di musei dismessi al cui interno vi sono queste ricchezze che ormai interessano sempre meno alla maggior parte delle persone e il che è un peccato. Io faccio questo lavoro da quando ero pressoché ventenne e di posti così affascinanti e inusuali ne ho visitati in tutti questi anni. Mi sono divertito a collezionare, comprare, rivendere e soprattutto a capire cosa possiedo dato che sono un grande appassionato. Voglio dire anche che non sono assolutamente un materialista anzi, ho una mia filosofia sulla vita e sulle cose metafisiche. Non sono un agnostico o un ateo, assolutamente, credo ad una visione più alta della vita. Chi mi da del materico non ha capito nulla perché sono interessato a collezionare tutti questi oggetti in quanto studioso e appassionato di materia ma per me il senso profondo della vita è tutt’altro.
Dare nuova vita a qualcosa che è morto è una forma di amore per l’eterno? Per la ciclicità della natura?
Lo è e come, assolutamente si. Pensa che in altre culture i resti umani di un parente caro o di un animale a cui si era affezionati, venivano sempre conservati. In Pava Guinea in alcune culture vi è una tradizione per cui gli uomini dormono sui crani dei parenti morti utilizzandoli come cuscini che tra l’altro vengono puliti perfettamente e decorati. Utilizzarli per dormire fornisce a queste persone di contattare i loro cari durante la notte e quindi diventa un mezzo di comunicazione mentre si dorme e tutto ciò è allucinante perché l’uomo si spinge oltre l’immaginabile. Anche se questo non possiede una base scientifica sicuramente è affascinante. È tutto quello che non c’è più oggi in buona parte del mondo. Siamo arrivati a questa visione contemporanea della vita e all’idea di inseguire sempre i soldi o il successo e tutte quelle cose futili che ci stanno allontanando da ciò che è davvero grande. L’arte e le cose belle della vita sono sempre state create con sentimento e con la passione per il divino, qualcosa che non vediamo e non conosciamo. Tutta l’umanità ha basato la propria esistenza verso un credo che spinge a pensare, a creare qualcosa di grande, a fare del bene verso il prossimo e penso che da quando abbiamo smesso di credere, l’uomo ha cessato di essere “uomo” veramente. Tutto ciò è molto triste. L’epoca dell’egocentrismo porta a credere alla supremazia dell’essere umano, alla ricchezza e favorisce l’attitudine verso il capitale. Secondo te, quando Michelangelo dipingeva la Cappella Sistina lo faceva per soldi? Nein, era già ricco di famiglia. Quel capolavoro lì è stato fatto per passione divina verso qualcosa che va oltre, un sentimento viscerale nei confronti di Dio. Probabilmente l’avrebbe fatto anche gratis. I capolavori dell’arte sono frutto di un’incredibile energia che smuove questi artisti.
Il fascino del mistero, dell’oltre, era presente sin dalla tua infanzia?
Si, senza dubbio. Sono sempre stato un ragazzo abbastanza emotivo, sensibile su certi temi e lo vedevo anche rispetto ai miei compagni di classe. Ero già eccentrico. Ai tempi del liceo ho dato un po’ di rogne ai miei genitori perché ero pazzo, andavo poco a scuola perché volevo uscire e vivere. Da ipersensibili è dura a volte, anche se le cose belle poi si godono in grande maniera. Anche adesso l’ipersensibilità mi induce a guardare le cose della vita in maniera più profonda e complessa, anche attraverso l’arte, e penso che quello che faccio e che mi appassiona sia l’unica cosa che davvero mi fa vivere.
La sensibilità a volte può creare anche degli stati emotivi forti perché ti porta a guardare il mondo con una visione diversa?
Si. Cerco sempre di distrarmi, di rifarmi al pensiero dello stolto. Voglio tirarmi fuori da certe condizioni di pensiero che un po’ mi rattristano.
Da piccolo avevi un incubo ricorrente che poi hai esorcizzato grazie al tuo lavoro?
Non credo di aver mai avuto delle fobie. Non ho mai avuto molta paura della morte, anzi non mi spaventa affatto perché credo sia una grande liberazione. Seguo un po’ il pensiero induista che conduce l’io a qualcosa di migliore e spero sia così. Poi nella mia galleria sono circondato da morte e quindi non ne ho paura, la trovo invece poetica.
In conclusione, che messaggio vuoi lasciare ai lettori?
Confido molto nelle nuove generazioni, anche se vedo che la maggior parte non ha ancora le idee chiare e questo è a causa anche della società che rende tutti confusi. Ovviamente anche io appena uscito dal liceo ero pieno di domande, così come tanti altri ragazzi, però noto che oggi si hanno meno prospettive. Spero tanto che le persone aprano la mente e comincino a capire cosa davvero è il mondo al di fuori dei social perché credo che si debba ritornare ad essere uomini e non macchine come invece stiamo diventando.
Intervista a cura di Francesco Latilla