Dopo innumerevoli colpi di scena, nomi bruciati, riunioni, vertici, maratone televisive, trattative e alleanze, Sergio Mattarella è stato rieletto Presidente della Repubblica. E’ il primo Presidente ad essere eletto all’ottavo scrutinio, il secondo più votato dopo Pertini con 759 voti, superando di 7 preferenze “il picconatore” Francesco Cossiga (il quale però condivide con Ciampi l’elezione già alla prima chiamata alle urne quirinalizie). Così il precedente creato dal Napolitano bis esplica subito i suoi effetti, sancendo probabilmente l’ennesimo “commissariamento” della classe politica dopo quello di Palazzo Chigi. Vediamo dunque come si sono comportati gli attori sulla scena di quella che sembra aver assunto la veste di una tragicommedia in salsa italiana:
Silvio Berlusconi: il Cavaliere, nonostante la veneranda età, lancia con forza la sua candidatura, inseguendo il sogno di coronare e riscattare la sua carriera con l’elezione al soglio quirinalizio (e di vedere una sua foto appesa negli uffici dei magistrati, oltre che di diventare capo del CSM). Tuttavia la mission impossible questa volta non viene portata a compimento (complici anche le condizioni di salute altalenanti e una forma non smagliante) e con una decisione ponderata e saggia si ritira dalla corsa prima di subire danni. Lascia che siano gli altri ad esporsi in primo piano, si coordina con i suoi fedelissimi e rientra in gioco nelle fasi finali, trattando personalmente con tutti. Eppure è riuscito ancora una volta a far parlare di sé, a finire al centro dell’attenzione mediatica, almeno nelle fasi iniziali e ad eclissare alleati e avversari. Ne esce tutto sommato indenne, consapevole che al centrodestra, oggi più che mai, manchi la sua leadership: per lui un 7 in pagella.
Matteo Salvini: non ne azzecca una dai tempi del crollo dell’Impero romano. Vuole far valere la sua leadership, conduce le trattative, lancia nomi e candidature, ma non si rende conto di cosa gli succede attorno e di come sia inviso anche all’interno del suo stesso partito. A sua discolpa si può dire che forse anche gli alleati l’hanno indotto in errore; sarebbe stato meglio affidare le trattative a qualcuno più equidistante, equilibrato, in buoni rapporti con tutti i big della coalizione e ben visto onde evitare che odi e antipatie si ripercuotessero sui candidati. Ciò che invece è successo: la Casellati probabilmente è stata affossata non in quanto tale, ma perché fortemente voluta dal leader leghista. Dunque, un colpo indiretto (e certamente fatale) a lui e al suo cerchio magico. E’ riuscito a ricompattare PD e M5s, a dividere il centrodestra e a dividere la Lega. E tutto questo dopo i tanti scivoloni tra regionali e amministrative. Tenta di salvarsi in calcio d’angolo rispolverando il numero di Conte. Forse era meglio star fermo. C’è poco da fare: 4. Bocciato.
Giorgia Meloni: ne esce rafforzata e pronta a prendersi il ruolo di capo della coalizione, oltre che gli elettori leghisti delusi. Appare come la più coerente e leale dopo queste elezioni, ma agli osservatori più attenti non sfuggono anche le sue (anche se poche) responsabilità: pensare che Carlo Nordio, protagonista di uscite alquanto strampalate ( si pensi alla qualificazione della pedofilia come orientamento sessuale) potesse diventare PdR, denota anche in lei una capacità di selezione non sempre efficace (come abbiamo constatato anche alle ultime amministrative). Quando riesce ad esprimere un candidato degno di nota (Crosetto) non si coordina con gli alleati. Anche lei fatica a comprendere la nozione di politica come arte del compromesso e che, soprattutto in queste elezioni, salvo maggioranze omogenee e ampie, la mediazione deve prendere il posto delle imposizioni unilaterali. Forse lo fa volutamente, proprio per ottenere l’appoggio incondizionato del suo elettorato e per incrementarlo: scelta legittima. Nei prossimi mesi toccherà a lei prendere le redini: sperando che eserciti le sue prerogative meglio di come ha scelto il candidato sindaco di Roma. 7
Giuseppe Conte: conferma le sue debolezze e la sua esperienza alla guida del Movimento subisce l’ennesimo duro colpo. Non controlla i gruppi parlamentari, perde sempre più terreno nella sfida interna con Di Maio (il quale si dimostra molto più scaltro di quanto non sembri) e per salvare la faccia tenta un accordo in extremis con il suo ex alleato leghista sul nome della Belloni. Risultato: la faccia la perdono entrambi e il nome del capo del DIS è bruciato. E’ sempre l’ombra di ciò che vorrebbe essere: personalità debole e liquida, priva di polso; svolge il ruolo di semplice comparsa, come già avvenuto nei suoi governi. Di certo, chi muove i fili del Movimento va ricercato altrove. 4, come il suo ex alleato.
Enrico Letta: uno dei veri vincitori di queste elezioni (pensate un po’ come stanno messi male gli altri). Conferma la leggenda secondo la quale i segretari del PD vadano avanti per inerzia e l’assunto meglio tirare a campare che tirare le cuoia: lo spirito democristiano non muore mai. Dice di no a tutti, resta immobile aspettando che la corrente del fiume lo trasporti a valle e si regge con precario equilibrio sulla fune tesa che tiene assieme le correnti dem. Insomma, lui non agit, sed agitur; lascia che siano gli altri a giocare la partita, senza superare mai la metà campo. Ma la sua è la strategia vincente: gli avversari si distruggono da soli e il M5s rischia di implodere. Con il minimo sforzo porta a casa il risultato, vincendo di “corto muso”, per dirla alla Max Allegri. Questa volta sì, può stare sereno. 7,5
Matteo Renzi: vorrebbe essere lui il kingmaker, portando come sempre all’estremo i suoi propositi autoreferenziali. E per poco non ci riesce: lancia la candidatura di Casini al Colle e in base a voci di corridoio e a fonti parlamentari i partiti arrivano a un passo dall’accordo sul suo nome. Un profilo squisitamente ideale, non tecnico, in grado di ridare centralità alla politica, commissariata ormai da troppo tempo. Ma sul più bello la trattativa salta e il piano del Matteo di Rignano non va come previsto. Deve accontentarsi di un Mattarella bis. Non certo una tragedia per lui. Diciamo che ottiene un pareggio. 6
Sergio Mattarella: potete immaginare la sua faccia quando, tutto felice e contento, pronto a chiudere baracca e burattini ha visto arrivare i capigruppo dei partiti di maggioranza a implorarlo per un secondo mandato. Sicuramente la tentazione di mandarli al diavolo ha pervaso la sua coscienza per qualche attimo. Ma poi ha prevalso il senso istituzionale di un buon democristiano dei tempi che furono e ha accettato altri sette anni di calvario. La vera domanda è: porterà al termine il mandato oppure si dimetterà dopo il 2023, non appena entrerà in carica un nuovo governo? Nel frattempo ci auguriamo che riesca ad andare dal barbiere senza ulteriori intoppi e ad essere più incisivo rispetto al settennato appena trascorso. In bocca al lupo Presidente. 8
Antonio Troiano