Se per Ennio Flaiano “il sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole” allora Guido Albanese, attraverso la propria arte, si palesa come un autentico sognatore, qualcuno che con grande cura percorre la ricerca verso l’immateriale, l’arte come smarrimento in balìa dei significanti. Egli manifesta l’armonia degli elementi che secondo la sapienza greca è situata alla base dell’arte, mescolando psicanalisi e filosofia orientale e avendo tra le stelle polari il meta-linguaggio di stampo beniano.
Osservando le tue opere si percepisce un senso di distacco dalla semplice realtà oggettiva, per immergersi invece in una visione più ampia. Qual è il tuo sguardo sull’arte e in che direzione vuoi andare?
La mia ricerca artistica comincia nel 2003/2004 per poi interrompersi per questioni famigliari. Questa ricerca si è finalizzata , una volta ripresa, sul meta-linguaggio, ossia un linguaggio che non rispecchia la semplice rappresentazione ma piuttosto un andare oltre, utilizzando anche strumenti tecnologici come la computer grafica oltre alla pittura. Attraverso l’utilizzo di questi approcci all’arte, ho proseguito un percorso finalizzato alla continua ricerca dei cosiddetti buchi neri del linguaggio di cui parlava Carmelo Bene, in cui l’aspetto importante non sta nel comunicare qualcosa ma nella sensazione che si avverte, sentendosi dispersi in una foresta di linguaggi in cui i significanti ci attraversano e ci fanno scavalcare le consuetudini dello spiegare, del voler far capire.
Insomma andare oltre il “comunicare”. Vorrei, attraverso questa visione, lasciare una traccia che a differenza della testimonianza si dimostra più legata ad un concetto immateriale. Sono interessato a quel che non si comprende ma che traspare dalle immagini. Mi focalizzo su due aspetti: il paesaggio, attraverso la pittura, la fotografia o la computer grafica e l’altro è la figura umana, verso cui però non mi sono ancora dedicato abbastanza. Sempre Carmelo Bene, che per me un idolo assoluto, diceva che: “il soggetto è assoggettato” ossia colui che subisce il valore dei significanti, colui che si trova in balìa dei significanti e non del semplice significato appunto. Scusa se lo cito spesso, ma è stato una figura talmente importante per la ricerca artistica del ‘900 in tante forme che per me è impossibile non parlarne.
So che sei amante della filosofia e della psicologia come porte verso nuove vie. Quanto influisce sulle tue opere questo rapporto col pensiero?
Sono un grande amante della filosofia e della psicologia, è vero. In questi ultimi anni mi sono ispirato molto alla filosofia greca, approdando in seguito a quella orientale come il pensiero Tao o al buddismo e a quelle visioni che speso sono state citate da Arthur Schopenhauer .È una sorta di pensiero organico al quale mi sono legato, avvicinandomi a diverse culture e verificarne i punti di contatto tra loro, tra Oriente e Occidente e così via. Da lì ho conseguito anche un percorso sull’aspetto psicologico, cercando di sondare il concetto di “anima” che secondo Umberto Galimberti, grande pensatore di quest’epoca, con la cultura cristiana è venuta meno la concezione etimologica iniziale. Dal greco antico ἄνεμος , il cui primo senso è “aria“, “respiro”, poi il cristianesimo ha tradotto come qualcosa che prosegue la nostra vita terrena e che ci garantisce l’eternità. Da qui nasce il mio stretto legame con l’analisi psicologica e psicoanalitica, che si sviluppa attraverso Carl Gustav Jung.
Mi sono avvicinato a quest’ultimo grazie anche all’interesse che nutro verso il prof. Raffaele Morelli il quale è profondamente junghiano, così sono poi partito a studiare gli aspetti interiori che attraverso lo stessoJung il concetto di animus è legato più ad un concetto orientale, difatti egli fece grandi studi sul Tao e le filosofie dell’Oriente in cui l’anima rappresenta la vita in sé, ciò che fa dell’essere umano qualcosa di vivente e unico nella sua specie. Da lì sono partito a strutturare la mia ricerca artistica tramite questi principi, soprattutto quello di individuazione e ciò che siede oltre le parole. Facendo un parallelismo Lacan-Bene possiamo parlare di linguaggio che si articola come inconscio e l’inconscio che si manifesta come linguaggio. Sono anche un estimatore di Fellini, Bergman, Tarkovskij e tutti quegli artisti che hanno ricercato l’oltre, poi Fellini ha rappresentato per me qualcosa di forte sin da piccolo. Per me apparteneva ad un mondo che, seppur non capendolo, lo avvertivo da vicino e poi crescendo ne ho tratto ispirazione.
Da dove nasce il tuo legame con le nuvole?
Il mio rapporto con le nuvole è sempre legato all’idea del paesaggio e poi all’idea dell’immaterialità. Ho un archivio enorme di foto di nuvole, ne avrò scattate migliaia, che probabilmente un giorno mostrerò, ho anche provato a creare delle opere organiche in cui poter mostrare tutta la mia ricerca a riguardo. Per rispondere alla tua domanda, ti dico che le nuvole mi affascinano per via del loro essere effimere, sono sempre in mutamento, si mostrano diverse ed è questo effetto di straniamento che mi colpisce. Se guardi una mia foto di nuvole non riuscirai mai a capire dove sei, dato che non fotografo mai l’orizzonte e creo una sorta di mare, o specchio, in cui le nuvole mostrano il proprio riflesso.
Quell’effetto mi riconduce all’idea del sogno, al concetto dell’essere altrove, in un non-luogo. È la “terra di nessun dove” tanto cara ai poeti. Poi le forme delle nuvole mi catturano ferocemente, soprattutto prima e dopo il tramonto e amo catturare quella strana luce che ha del crepuscolare, che induce a qualcosa di intimo, all’introspezione. Le nuvole sono come l’acqua, altro elemento che amo, e questa è legata al pensiero taoista, tant’è vero che nel Tao si dice che “ogni onda che arriva non è mai uguale ad un’altra” e questo aspetto è proprio come i nostri sentimenti che arrivano sempre come nuove emozioni.
Diversi mesi fa, parliamo ancora di 2021, è stato pubblicato “Dalla Terra alla luna” con l’adattamento letterario di Elisa Mazzoli dal racconto di Jules Verne e da te illustrato. Che tipo di lavoro hai fatto per costruire queste immagini visionarie e dal sapore stellare?
È durato molto tempo. La cosa strana è che questo è stato il primo libro di fantascienza che ho letto da piccolo, mi fu regalato dalla maestra delle elementari. Poi crescendo mi sono appassionato alla fantascienza ed ho sempre avuto un debole per il mito dell’uomo sulla luna, così ho accettato di illustrarlo e l’impronta che ho deciso di dargli è legata alla Scuola del fiume Hudson dell’800, in cui i pittori americani si fermavano a ritrarre questi paesaggi sterminati che erano divenuti conquiste degli europei e portavano su tela posti incredibili come il gran Kenya.
Dato che il racconto di Jules Verne è stato scritto nel 1865, pensa quasi cent’anni prima dell’atterraggio sulla luna, ho deciso di dare questo stile. Poi l’ho realizzato in una versione quasi fumettistica, attraverso una tecnica digitale con l’utilizzo della computer grafica, e devo dire che queste immagini visionarie mi hanno donato la spinta per studiare nuove tecniche di illustrazione. Fortunatamente Maria De filippo che mi ha seguito si è dimostrata un’art director eccezionale, facendo davvero un ottimo lavoro e dimostrando alle case editrici che avevano rifiutato il progetto all’inizio che invece poteva essere portato su carta.
Sei un’artista versatile, capace di far breccia nelle menti del pubblico e degli esperti attraverso varie forme d’arte. Ma cosa vuol dire per te, oggi, essere un’artista?
Oggi potrebbe anche non voler dire niente, dato che queste categorie oramai sono usurpate, esagerate. Pensa che oggi esistono gli artisti star e ci si può anche permettere di fare delle opere con pallini in stile mem’s, io invece intendo l’artista come un ritorno al mestiere, al recupero di alcuni codici che via via si sono persi per strada, un po’ per colpa delle avanguardie e delle neo-avanguardie e così via. Non dico di fare un passo indietro ma di cercare di riformulare una visione, cercare un’armonia che secondo la sapienza greca sta nel far vivere degli ingredienti in maniera equilibrata. Un ritorno all’armonia degli elementi.
Intervista di Francesco Latilla